RADIOTELEVISIONE

Vent’anni fa, nel 1997, le Camere federali decisero di privatizzare la Posta svizzera e le telecomunicazioni. L’anno successivo fu la volta delle FFS. Poi Governo e Parlamento ci provarono con il settore elettrico, operazione riuscita parzialmente al secondo tentativo nel 2006. Nel 2007 fu adottata una nuova legge sul sistema di finanziamento degli istituti ospedalieri, che sta provocando una privatizzazione strisciante della medicina pubblica. Nel 2008 tentarono di privatizzare la SUVA, la nostra efficientissima assicurazione infortuni. Ma non è tutto. Molti cantoni e comuni cercarono di privatizzare ospedali, scuole, carceri, servizi di polizia, aziende elettriche, i servizi dei collaudi delle automobili, trasporti pubblici. Cantoni e Confederazione ridussero pure i finanziamenti ai politecnici e alle università. I responsabili di questi istituti dovettero fare appello all’economia privata (banche e industria farmaceutica), con tutte le conseguenze che si possono immaginare per l’indipendenza della formazione e la credibilità dei risultati delle ricerche.  Ci furono pure molti sgravi fiscali e, di conseguenza, molte misure di risparmio sulla sanità, la socialità e la funzione pubblica.

Ci furono anche molti referendum, spesso vittoriosi. Ma la politica neoliberale, perché di questo si tratta, importata dall’Unione europea, portatrice di risultati disastrosi per il servizio pubblico, le condizioni di vita e di lavoro e, non da ultimo, per la democrazia, non è terminata.

Quanto sta succedendo in questi giorni nei servizi postali è solo uno dei tanti esempi. Dei 4100 uffici postali esistenti qualche anno fa, oggi ne rimangono 1300 e, se questa politica non verrà fermata, fra poco, in tutti la Svizzera ne avremo 127.  In Ticino 5. E non è vero che ciò è la conseguenza dei cambiamenti di abitudine della popolazione. In realtà la posta sta cedendo tutto quanto è redditizio al privato, secondo il principio della privatizzazione degli utili e della socializzazione delle perdite.

Ma cosa centra tutto questo con la radiotelevisione? Centra. Ricordo che

nel 2006, il Consiglio federale avrebbe voluto liberalizzare il mercato radiotelevisivo. Ci rinunciò, solo perché la Svizzera è troppo piccola. Non ha tuttavia rinunciato totalmente ai suoi obiettivi e non si è limitato a finanziare parzialmente con fondi pubblici anche le emittenti private. Ha voluto costringere anche la televisione pubblica a finanziarsi sul mercato, anche se in misura limitata. Questa modifica ha comportato una conseguenza di rilievo. La televisione pubblica non è più libera di definire i suoi programmi in funzione unicamente di criteri di interesse pubblico. Essa deve considerare le esigenze del mercato, soprattutto quello pubblicitario.

Ora, siamo confrontati ad un’offensiva di potenti gruppi privati. Ma la logica non cambia. L’iniziatica NO Billag prevede in realtà la privatizzazione pura e semplice della radiotelevisione pubblica.

Se fosse accolta, a fine 2018 la SSR dovrà chiudere, perché non avrà più un centesimo. Sarebbe una vera catastrofe. Sarebbe la fine di un’informazione locale, svizzera e internazionale assai equilibrata, la fine degli aiuti al mondo del cinema, la fine degli aiuti alle radio-orchestre. E, non da ultimo, avremmo la soppressione di migliaia di posti di lavoro qualificati.

La radiotelevisione pubblica, con tutti i suoi difetti, sarebbe sostituita da televisioni private, libere di trasmettere cosa, come e quando lo desiderano. Non ci sarebbe più la vigilanza di organismi pubblici. Sarebbe al servizio dei loro proprietari.

Privatizzare la radiotelevisione, significherebbe quindi conferire a gruppi finanziari svizzeri o stranieri un potere enorme, incontrollato e incontrollabile.

La fine della SSR non sarebbe solo la fine di un’azienda pubblica e la fine di un servizio pubblico: sarebbe la fine della democrazia. Perché, senza un’informazione equilibrata, non ci può essere democrazia.

Per tutto questo è importante votare NO il prossimo 4 marzo.

 

Graziano Pestoni

Segretario Associazione per la difesa del servizio pubblico