Il prossimo 9 febbraio, l’elettorato ticinesi si pronuncerà in merito alla proposta di introdurre nella Costituzione cantonale un nuovo articolo 4: “ Lo Stato persegue i suoi scopi nel rispetto del principio della sussidiarietà “.

In realtà, si vuole introdurre una norma che tolga competenze ai poteri pubblici (Cantone e Comuni) per conferirle ai privati: un attacco inaccettabile al servizio pubblico.

Il tutto ebbe inizio il 24 settembre 2012 con un’iniziativa parlamentare del deputato Sergio Morisoli che proponeva una modifica della Legge sui sussidi cantonali, da lui denominata “ non solo sussidi ma anche  sussidiarietà “. A seguito di un tortuoso percorso parlamentare, che è in questa sede inutile ripercorrere, quell’atto parlamentare fu tramutato in una proposta del Gran Consiglio di modificare non la legge ma la Costituzione, con l’introduzione del citato articolo: decisione presa aderendo alla minoranza della Commissione  speciale Costituzione e diritti politici, in due tempi: a un risultato di pareggio (40 voti a 40) seguì, nella seduta del 12 marzo 2019  una seconda votazione che diede un risultato a favore (41 voti a 35). Da notare che per la modifica costituzionale votarono i deputati del PPD, dell’UDC e della Lega, contrari i deputati del PS, dei Verdi e della altre formazioni di sinistra, e del PLRT).

Gli intenti dei fautori dell’introduzione del cosiddetto “ principio di sussidiarietà “ erano già ben chiari nella prima iniziativa di Sergio Morisoli, che prendeva spunto dalla  “ crisi profonda in tutto il continente “ del modello di Stato sociale, che si era imposto a partire dalla seconda guerra mondiale e che, aggiungiamo noi, aveva avuto effetti benefici su tutta la società, e in particolare sui ceti più deboli, garantendo un buon livello di prosperità e una sua dignitosa distribuzione: un sistema che aveva subito forti attacchi sulla base di principi ultracapitalistici e privatistici, e del  cosiddetto “ menostato “, introdotti negli anni ’80 da Reagan negli USA e dalla Thatcher in Gran Bretagna, e rapidamente seguiti in tutto il mondo occidentale.

Partendo da questa premessa, il promotore dell’iniziativa (con argomentazioni poi fatte proprie dalla risicata maggioranza del GC) traeva le conseguenze che occorreva, in base alla proposta sussidiarietà, diminuire l’intervento dello Stato, a beneficio dell’attribuzione ai privati di buona parte del servizio pubblico. In altre parole, era auspicata una sostanziale privatizzazione di questa importante funzione dei poteri pubblici.

E’ importante sottolineare che il principio di sussidiarietà va osservato, secondo la Costituzione federale all’art. 5 cpv. 2 “ nell’assegnazione e nell’adempimento dei compiti statali “. E’ comunque da precisare che questo principio è applicabile nei rapporti tra gli organi pubblici della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni “ e non esteso fino a comprendere enti privati.

E’ pure da menzionare il fatto che il Consiglio di stato riconosce che la sussidiarietà è già in atto indipendentemente dal suo riconoscimento costituzionale, per cui la volontà di procedere a quest’ultimo passo non può essere interpretata se non come un’operazione atta a modificare radicalmente la situazione attuale, con la menomazione delle prerogative dell’ente pubblico, nell’ambito di quello smantellamento dello Stato che è parte integrante delle idee politiche di buona parte della nostra classe politica: un tentativo che va decisamente contrastato.

Del resto il rapporto di maggioranza della citata Commissione, che tra l’altro rileva come il principio di sussidiarietà sia  “centrale nell’atteggiamento della Chiesa “, osserva che gli obbiettivi attuale sono raggiungibili  “senza bisogno di inserire nella Costituzione cantonale un principio che mira palesemente ad affermare una visione di parte puramente ideologica “ preferendo il privato al pubblico, e relegando lo Stato in una funzione sussidiaria.

In definitiva , se è vero che lo Stato sociale è parecchio indebolito rispetto a qualche decennio fa, ciò non significa che si debba indebolirlo ulteriormente. Anzi, occorre fare di tutto per arrestare questa tendenza, mantenendo ai poteri pubblici quei poteri che loro competono nel pieno rispetto degli interessi della collettività, non dimenticando che solo essi possono valorizzare questi ultimi, mentre il privato, anche nell’adempimento di un servizio pubblico, è ovviamente e inevitabilmente indirizzato al profitto. Ad ognuno, quindi, le sue competenze, a dipendenza dell’interesse pubblico o privato che si persegue, respingendo cambiamenti più o meno dissimulati.