Quando in Svizzera il popolo è chiamato a decidere su proposte di politica economica o di politica sociale, si trova molto spesso confrontato con campagne volte a spaventare i votanti sulle conseguenze di scelte che non tengano conto degli interessi delle imprese o che concedano troppo alla socialità, presentata come nociva per la competitività delle imprese. Lo scenario si ripresenta puntualmente in occasione della proposta detta di riforma della imposizione delle imprese III. Siamo confrontati con una campagna martellante, volta a convincerci che senza questa riforma, così come presentata, le imprese straniere attualmente al beneficio di privilegi fiscali, lascerebbero in massa la Svizzera e il nostro cantone, con conseguenze catastrofiche per l’economia, l’occupazione e le entrate fiscali. Diciamolo con franchezza: questa visione è del tutto fuorviante. Se la riforma fosse bocciata, sul piano legale non cambierà nulla rispetto alla situazione odierna: i privilegi fiscali nell’immediato rimarrebbero e le imprese non avrebbero motivo di prendere decisioni affrettate di delocalizzazione. A questi riguardo risulta indegna (ma non sorprendente) la presa di posizione dal sapore chiaramente ricattatorio, del Consigliere federale Maurer (UDC), che minaccia di lanciare, fin dal giorno successivo ad un eventuale rifiuto popolare, un programma di risparmi per un ammontare di diversi miliardi di franchi. La Confederazione sarà costretta a tirare la cinghia per 4-8 anni, afferma. Il giorno dopo la Confederazione non sarà costretta a fare nulla di tutto ciò. Sarebbero per contro i Cantoni e, soprattutto i Comuni a dovere prendere misure di risparmio drastiche a spese, per esempio della formazione e della sanità, se la riforma fosse approvata. Una riforma sarà certo necessaria, nessuno lo contesta, per eliminare i privilegi fiscali non più tollerati dall’OCDE e dall’UE. Ma la soluzione non è necessariamente questa riforma. È bene ricordare che il Consiglio Federale aveva elaborata una proposta ritenuta equilibrata anche dalla sinistra. Essa non comportava un massacro delle finanze pubbliche e avrebbe potuto essere accettata da un largo spettro delle forze politiche. Purtroppo il Parlamento uscito dalle ultime votazioni federali si è nettamente spostato a destra, con una maggioranza assoluta in Consiglio Nazionale tra UDC e PLR e ha voluto strafare nel concedere regali fiscali esorbitanti alle imprese e non necessari ai fini della competitività della Svizzera. Nessuno può pensare che il Consiglio Federale non abbia tenuto presente il problema della competitività nella sua proposta originale. Quella proposta può essere ripresa e approvata in tempi assai brevi, con un più ampio consenso politico e popolare. Sarebbe caso mai l’approvazione di questa riforma ad attentare alle condizioni quadro che fanno l’attrattività della Svizzera, che non è costituita solo da fiscalità favorevole, ma da altri vantaggi competitivi, costringendo gli enti pubblici a tagliare negli investimenti sulla formazione, la ricerca, la politica ambientale, la Giustizia, ecc. Quello sì potrebbe danneggiare la Svizzera. Quindi, calma e gesso: il rifiuto della Riforma III non provocherà, a breve termine, nessuna fuga precipitosa di aziende verso l’estero e la Svizzera ha comunque tempo fino al 2019 per elaborare una soluzione più saggia e consensuale ed efficace.